psicologia sociale

L’effetto Lucifero: l’esperimento di psicologia sociale della prigione di Stanford

Sempre più spesso la cronaca riporta episodi di violenza che avvengono nell’indifferenza generale. Che si tratti di bullismo, violenza di genere o soprusi perpetrati da gruppi sociali ai danni di altri gruppi la domanda che tutti noi ci facciamo è sempre la stessa: com’è possibile che nessuno sia intervenuto per fermare ciò che stava accadendo?

Gli psicologi sociali spiegano questo effetto con il termine deindividuazione, ossia la sensazione di sentirsi anonimi all’interno di un gruppo, caratterizzata da una riduzione del senso di individualità e di una momentanea perdita del senso di responsabilità rispetto a ciò che ci accade intorno. Queste sensazioni provocano nell’individuo un allentamento dei limiti normalmente posti ai propri comportamenti, fino a produrre un aumento di azioni impulsive, inconsuete o addirittura devianti. In altri termini, perdersi nella folla può indurci a tenere comportamenti che mai avremmo sognato di seguire da soli.

L’effetto della deindividuazione si scontra con la visione comune che le persone hanno delle condotte criminose e malvagie, basata sull’assunto la maggior parte dei comportamenti delinquenziali e violenti siano il frutto di una mente malata o perversa. Gli psicologi sociali definiscono questa teoria del senso comune come errore fondamentale di attribuzione. In pratica, gli esseri umani preferiscono pensare che siano le caratteristiche personali degli individui a spingerle a comportarsi in un determinato modo, piuttosto che la situazione in cui si trovano. Le persone malvagie compiono azioni malvagie, un individuo “normale” è incapace di fare del male.

Purtroppo la realtà fornisce numerosi esempi di atti terribili perpetrati da gruppi di persone che, prese singolarmente, mai si sarebbero macchiate di tali crimini.

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